Mariano Smiriglio e Filippo De Mercurio
- La Cena in casa di Levi, 1605
- Olio su tela
- Ubicazione: Refettorio
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Già il Palermo (Guida..., 1858, p. 774)
considerò il dipinto «eccellente copia di Paolo Veronese»; seguì il Meli (Catalogo...,
1870, p. 102) che lo assegnò a un pittore siciliano del sec. XVII. Il Frangipani
(Storia..., 1905, p. 220) credette invece di potere identificare lopera con la
Cena in casa di Simone documentata a Simone di Wobreck nel 1558.
Più recentemente la
Viscuso (in L. Sarullo, Dizionario..., 1993, p. 572) è tornata alle primitive
attribuzioni, espungendo definitivamente lopera del catalogo del Wobreck,
precisandone la realizzazione in controparte rispetto alloriginale veronesiano, oggi
presso le Gallerie dellAccademia di Venezia, realizzato dal pittore veneto nel 1573
per il refettorio del convento dei Santi Giovanni e Paolo.
Il rinvenimento del
contratto di commissione dellopera permette oggi ulteriori precisazioni ed
approfondimenti. Lincarico venne affidato il 5 maggio 1605 ai due pittori
palermitani Mariano Smiriglio e Filippo De Mercurio da parte del monaco benedettino don
Romano da Palermo, procuratore del monastero; ma lopera non poté essere iniziata
prima del 12 dello stesso mese di maggio, giorno in cui i monaci fornirono ai pittori la
tela ed il telaio insieme ad un anticipo di 15 onze. Il prezzo per la «mastria» e i
colori fu fissato in 80 onze e i pagamenti successivi risultano puntigliosamente annotati
il 23 luglio (15 onze), il 29 novembre (14 onze) e il 15 marzo dellanno successivo
(30 onze), data di consegna del quadro finito. Sullattività pittorica dello
Smiriglio, ben più noto quale architetto e in tale veste attivo per San Martino fra il
giugno 1612 e il febbraio 1614 (Cfr. G. Mendola, Regesto..., infra, i nuovi
documenti permettono di precisare meglio il periodo di collaborazione rispetto alle
notizie fornite da R. Prescia, Storia e..., 1995, pp. 46, 115), nuove fonti
archivistiche (G. Mendola, in «Vulgo..., Palermo, 1997, pp. 280-282) ne attestano
la produzione fra.il 1607 e il 1612. Ai documenti già noti possiamo oggi aggiungerne un
altro, che permette di anticipare i rapporti di collaborazione fra lo Smiriglio e i
Benedettini a partire dal 1594 quando cominciano i pagamenti, conclusisi nellagosto
del 1596, per una Ascensione destinata alla «gavita del santuario», che nel
frattempo si andava decorando con dorature (cfr. G. Mendola, Regesto..., infra).
Ho gia
avuto modo di documentare lattività dello sconosciuto Filippo De Mercurio (cfr. G.
Mendola, in «Vulgo..., 1997, pp. 279-281); da considerarsi per così dire il
pittore di fiducia del monastero, per il quale lavoro pressa poco costantemente
nellarco di un ventennio, fino alla morte, avvenuta nei primi mesi del 1622. Il De
Mercurio, del resto, abitava una casa con annessa bottega presa in affitto dagli stessi
benedettini a fianco della loro gangia palermitana dello Spirito Santo già dal 1601 (cfr.
infra, Regesto), e proprio per uno dei monaci, don Venturino da Messina, il 3
settembre 1603 si era impegnato a dipingere un quadro raffigurante la Discesa
dello Spirito Santo, consegnato il 20 aprile 1604, al prezzo di 20 onze; secondo le
clausole del contratto, il dipinto doveva essere «ben fatto come sonno li quatri dentro
la ecc(lesi)a del Sp(irit)o S(ant)o di la grangia del mon(aste)rio di S(an)to Martino
delli Scali di Palermo cioè li quatri di S(ant)o Martino e di S(ant)o Beneditto» (cfr.
G. Men- dola, Regesto..., infra), i quali ultimi sono quindi da restituire allo
stesso pittore con una datazione anteriore al settembre 1603; se, dunque, come può
plausibilmente ipotizzarsi, questo dipinto è da identificarsi con il quadro dello
Spirito Santo ricordato dalle fonti nella chiesa eponima, considerato che anche il
San Giorgio della stessa chiesa è documentato al De Mercurio, è lecito ipotizzare
che tutte e quattro le pale daltare di quella chiesa, purtroppo disperse, fossero
opera del De Mercurio (cfr. anche T. Viscuso, in "Vulgo..., 1997, p. 57 e G.
Davi, 1997, p. 86). Che i due pittori collaborassero in questo stesso torno di tempo è
notizia già acquisita; la compartecipazione porterebbe a supporre una divisione del
lavoro nella esecuzione dellopera, nella quale, però, non si riscontrano evidenti
discordanze di mani. Si può allora supporre un intervento del pittore-architetto
Smiriglio da quadraturista, nella rappresentazione scenografica ed architettonica, ed una
presenza del De Mercurio, ricordato dai documenti anche quale ritrattista, nella
raffigurazione dei per- sonaggi. Del resto, nonostante lossidazione dei colori e la
forte presenza di vernici che ne impediscono una lettura puntuale, non sembra di potere
individuare nel dipinto quella «rarefatta atmosfera di stilizzate, morbide e quasi
sensuali, ma al tempo stesso frigide e levigate eleganze controriformistiche »
riconosciute dallo Scuderi (1968, p. 156) allAssunta firmata e datata 1604
della chiesa madre di Salemi, unica, finora, opera certa dello Smiriglio. Viceversa, la
accurata caratterizzazione fisionomica dei personaggi farebbe pensare più alla mano di un
ritrattista, un pittore comunque, pur con un segno duro e inciso, certamente influenzato
dal Bazzano, che in quegli anni lavorava per San Martino. Indubbie ricercatezze
manieristiche sono affidate poi alla resa coloristica, nellaccorto uso dei cangianti
e degli accostamenti; e proprio al colore è rivolta lattenzione dei contraenti
nellatto di commissione dellopera: «li colori hanno dessiri tutti fini
e, delle più fini che si ponno trovare cioè alachi di grana di Firenze, gialnulino di
Fiandra cannixetta di Fiandra et azoletti di Spagna».
Che molti pittori
operosi a quellepoca più o meno scopertamente facessero ricorso a modelli tratti
dalle incisioni è cosa che la critica moderna ha spesso evidenziato; in questo caso è
proprio il contratto che prevede lutilizzo di una stampa, che per le precise
indicazioni fornite dallo stesso notaio è possibile identificare con una delle versioni
incise dallolandese Jan Saenredam (1565-1607). Resa nota dal Bartsch (Le
peintre..., 1803, vol. 3, p. 232 n. 34 e 1980, vol. 4, p. 350), lincisione a
bulino è stata studiata da P. Ticozzi (Immagini..., 1979, p. 30, con bibliografia)
e dalla Nepi Scirè (Il convitto..., 1984, pp. 19-22) che nel riprodurla in
controparte ne fornisce una datazione anteriore al 1607, anno di morte dellincisore.
Il termine ante quem per la realizzazione della stampa a questo punto può essere
arretrato almeno di un paio danni, se una copia di essa era a Palermo gia nel maggio
del 1605. Il ricorso alla stampa tuttavia non avrebbe dovuto risultare completamente
vincolante per i due pittori palermitani, essendo «licito a detti de smiriglio e mercurio
alterare detto disegno cossì nella grandezza come in altre cose secondo
larchitettura e grandezza del quatro riquiede». Naturalmente, la desunzione della
stampa consentì una realizzazione in controparte delloriginale veronesiano;
numerose sono però le varianti che possono registrarsi nel nostro dipinto, cominciando
dal taglio ai lati della struttura architettonica che incornicia la scena e della
balaustrata in basso, cui si contrappone la fedeltà con la quale vengono riprodotti gli
edifici sugli sfondi; così come con la ricerca di un maggiore decorativismo (la
damascatura della tovaglia da tavola, laggiunta dei festoni e degli stemmi del
monastero in alto, il paesaggio marino sullo sfondo al centro, le nature morte sulla
mensa) contrasta una riduzione del numero dei personaggi, con la esclusione delluomo
«che con un piron si cura i denti», degli «armati alla todesca vestiti» o del
«buffone con il pappagallo in pugno», eliminando quindi quegli elementi di disturbo che
avevano condotto il Veronese dinanzi al tribunale del Santo Uffizio. Unultima
notazione va fatta sullovale inserito in un ricco fastigio a timpano spezzato,
curvo, sopra la cornice, raffigurante la Madonna col Bambino copia o derivazione
dal Van Dyck, di cui altra versione di formato rettangolare è conservata presso la
Galleria di Palazzo Abatellis a Palermo.
Giovanni Mendola
Bibliografia: G. Palermo, 1858, p. 774; G.
Meli, 1870, p. 102; G. Frangipani, 1905, p. 220; A. Lipari, 1992, p. 60; T. Viscuso, 1993,
p. 572.
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