Filippo Paladini e Giacomo Amato

San Martino e il mendicante, 1608
Olio su tela, cm. 496 x 325
Ubicazione: Chiesa, altare sinistro del transetto
 
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  Il dipinto non è firmato e neanche datato. L’unico elemento che rimane si può desumere dalla Chronica del Monastero di San Martino che, alla data 1625, riporta le seguenti parole: «Icon Patris nostri sancti Martini que a celeberrimo sui temporis pictore philippo paladino delineata est, et a quodam alio predicti paladini discipulo perfecta est et in proprio altari collocata est». A queste frasi, già trascritte da Bernini (Mostra..., 1967, pp. 86-87) e che confermano il completamento del dipinto da parte di un seguace del pittore toscano, si deve aggiungere anche una serie di documenti rintracciati da Giovanni Mendola (in «Vulgo..., 1997, pp. 276-277), da cui viene fuori il nome dell’artista, Giacomo Amato, e con cui viene definitivamente accantonata l’ipotesi che voleva il Salerno come il coautore del dipinto. Il San Martino è costruito secondo una concezione bipartita dello spazio. Giustamente, Bernini vi scorge una riduzione della superficie dell’immagine, con le rovine in primo piano che ne accentuano ancora di più la verticalità. Lo studioso, inoltre, vede nella figura del mendicante un richiamo allo storpio dei Santi Cosma e Damiano di Malta, oltre che un gusto bozzettistico nel delineare il seguito di Mar- tino che ha un suo precedente nel Martirio di Sant’Ignazio di Sant’Ignazio all’Olivella. Il dipinto di San Martino delle Scale sintetizza la vicenda del santo, riunendo l’episodio del soccorso al mendicante con quello del suo sogno, in cui appare Cristo col mantello in mano che dice agli Angeli: «Martino ancora catecumeno mi ha coperto con questo mantello». A Filippo Padini si può ascrivere, oltre alla composizione e all’ideazione, sicuramente la figura del mendicante. Non convincono invece San Martino e il Cristo, che si devono probabilmente all’Amato, la cui collaborazione col toscano si può ipotizzare almeno dal 1613, e cioè dall’anno della Trinità e Santi di Licata, che presenta gli stessi sbalzi di qualità e la presenza di due mani di ineguali capacità. Su Giacomo Amato si hanno pochissime notizie, venute alla luce recentemente grazie alle ricerche di Giovanni Mendola (in e Vulgo..., 1997, pp. 276-277). Con un atto del 1612, l’Amato, che risulta essere palermitano, si impegna con Onofrio Pipi a dipingere dodici sibille. Nel 1625 viene pagato per un San Vito realizzato per Don Sebastiano De Napoli. All’anno successivo e al 1630 si riferiscono, invece, i documenti riguardanti la commissione per il completamento del quadro del Paladini.

Daniele De Joannon

 

Bibliografia: D. Bernini, 1967, pp. 86-87, con bibliografia; G. Mendola, 1997, pp. 276-277.

 

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