Pietro Novelli

Daniele nella fossa dei leoni, 1629
Affresco, cm. 750 x 280
Ubicazione: Refettorio

 

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     Questa è la prima opera documentata nella «Chronica» del Monastero e relativa al 1629 anno in cui il Novelli, con un compenso di 70 onze (A. Mazze in G. Di Stefano, Pietro..., pp. 104-106), decora la volta del refettorio estivo. In questo affresco, racchiuso entro una doppia cornice di stucco bianco e dorato, l’artista adotta un linguaggio figurativo moderno sia per la scelta del campo ellittico sia per la novità interpretativa dell’iconografia. Contravvenendo ai «Precetti» del teorico e pittore manierista Giovan Battista Armenini, secondo il quale «gli antichi» per la decorazione dei refettori sceglievano di norma l’episodio di Abramo «quando (...) nella valle di Mantre apparecchiò da mangiare agli angeli» (G.B. Armenini, De veri..., 1586, p. 192), il Novelli invece dipinge la scena raffigurante Daniele nella fossa dei leoni. L’episodio desunto dalla letteratura veterotestamentaria (Daniele IV, 33-36) si correla alla «morale della provvidenza divina che non abbandona mai senza cibo i propri fedeli» (E. De Castro, I luoghi..., 1990, p. 20), principio che peraltro viene suggellato dalla frase incisa sul cartiglio, escam dedit timentibus. Una esauriente e qualificata interpretazione teologica è stata recentemente fornita dal liturgista I. Scicolone (Per l’aere..., 1996, pp. 4-6), il quale rivede nella scena di Daniele, l’episodio dell’eremita Benedetto che, nel giorno di Pasqua, riceve in una spelonca presso Subiaco la visita di un prete che gli reca il pasto. Per i monaci benedettini la tematica potrebbe altresì servire da memento all’osservanza della Regola anche nella misura del cibo. Il profeta Abacuc infatti reca con se due cesti, presumibile riferimento alle «due pietanze» da consumarsi nella «refezione quotidiana sia di sesta che di nona» e che «bastino in tutti i mesi» (Regola, cap. 39, 1-2). L’interpretazione novelliana della tematica veterotestamentaria suscitò profonda ammirazione nei viaggiatori che tra la fine del Settecento e per tutto l’Ottocento visitarono l’abbazia benedettina. Vivant Denon pittore francese, membro dell’Accademia reale di pittura a Parigi, ma più noto come viaggiatore- storiografo è il primo tra gli autori della letteratura dei Ciceroni ad esprimere nel 1788 un elogiativo giudizio critico riguardo alla tecnica prospettica del sottinsù: «Il pittore ha dipinto sul soffitto di uno dei refettori Daniele nella fossa dei leoni, forse è la prima volta che una fossa sia stata dipinta su un soffitto, ma il pittore ha brillantemente superato questa difficoltà e stando con il capo alzato, si vede con la massima naturalezza quanto si dovrebbe aver visto a volo di uccello.   

     Questo affresco e le pitture su tela che si trovano nella chiesa dimostrano che questo artista possedeva perfettamente la tecnica dei vari generi di pittura» (V. Denon, Voyage..., 1788, pp. 97-100). Tra i viaggiatori che nell’età neoclassica scelsero la Sicilia per indagare sulla cultura artistica, va ricordato il cavaliere Gastone conte della Torre di Rezzonico, «patrizio comasco» e conoscitore d’arte. Le testimonianze della visita effettuata in Sicilia nel 1793 saranno pubblicate nella prima edizione del suo «Viaggio della Sicilia» che sarà edito a Palermo nel 1828. Il Rezzonico, recatosi a San Martino il 26 agosto 1793 accompagnato dal «P. Drago bibliotecario e dal signor Tough urbanissimo (...) banchiere» del conte, alla vista dell’affresco non indugia a stabilire un immediato confronto stilistico con l’artista emiliano G.F. Barbieri e formula un giudizio alquanto lusinghiero: «ammirai un fresco del Morrealese, che di poco ammette il paragone. E’ dipinto con tocco sì magistrale e risoluto, che l’avrei a prima vista giudicato del Guercino, e somiglia a quei bellissimi freschi della Notte, dell’Aurora e della Fama nella villa Ludovisi» [a Roma] (G. Rezzonico, 1828, p. 29). E non solo. Il Rezzonico col naso in su e con gli occhi fissi alla volta «sfondata» del refettorio, osserva con compiaciuto apprezzamento l’impari tecnica dell’illusionismo spaziale con cui il Novelli ha narrato il processo miracolistico realizzato con esemplare strategia cromatica. Con l’ausilio della «lente progressiva»-il conte descrive la perfetta evoluzione acrobatica in cui si cimenta il profeta Daniele lungo lo stretto antro ellittico. «Qui con artificio inarrivabile si è dal - Novelli sfondata la volta e aperta largamente, per dipingervi di sotto in su Daniele fra i leoni. Pareva impossibile sì pensiero, ma il pittore pose Daniele sul margine d’un’orrida grotta, di cui ruppe il ciglione, e ne cavo coll’ombra i recessi» (G. Rezzonico, 1828,.p. 26). Il Rezzonico si sente rapito dal virtuosismo di gravitazione che esercita la spettacolarità del- l’angelo e di Abacuc librati in aria ed entrambi equilibratamente adagiati sui fuochi dell’asse maggiore dell’elisse. Il viaggiatore dinanzi alla magistrale soluzione figurativa realizzata da uno studioso di geometria prospettica, quale era il Novelli, avverte la necessita di encomiare l’esito scientifico della rappresentazione. "Il sottinsù dell’Angelo volante, e dell’Abacucco sospeso non può essere più magistrale per l’ottiche leggi si ben osservate, e per vario ,contrasto delle linee, e per lo sviluppo favorevole delle membra, e del. loro giro, ch’empie tutto lo spazio del vasto quadro con ottima simmetria in tre parti distribuito, di cui Abacuc occupa il centro, e Daniele un terzo, e l’Angelo un altro» (G. Rezzonico, 1828, p. 26). II Rezzonico fa un distinguo riguardo agli. artisti della "maniera" barocca: l’affresco del Novelli lo farà ricredere al punto che il critico neoclassico, dopo aver confessato l’ingiusta prevenzione nei riguardi della cinetica che agisce su Abacuc e Daniele, conclude: «Io nulla ho veduto che fosse più ragionevole e più ingegnoso, e pure mi stanno in mente i lodatissimi artifizi degli scorti de’ Carracci, e del Guercino in casa Sampieri, e qui del Correggio nostro, e del Buonarroti. Il Novelli è massimo uomo e poco da noi conosciuto» (G. Rezzonico, 1828, p. 30). Un’altro «artificio» degno di nota è l’interpretazione novelliana della resa luminosa della volta del Refettorio, dove, secondo i precetti della Regola «tanto l’ora della cena quanto quella dell’unica refezione (...) si faccia con la luce del giorno» (Regola, 41, 9). A undici anni.di distanza lo storiografo cassinese P. Michelangelo Celesia rilegge in chiave storico-critica l’affresco eseguito dal giovane artista allievo di Vito Carrera. Nell’esordio benedettino, il Novelli - a dire dello storiografo - affronta un soggetto tanto «ardito» che gli permette di raffigurare una «scena» che "non poteva esser presentata in un aspetto più imponente" (M. Celesia, Descrizione..., 1839, pp. 16-17). Supportata da un efficace commento e altresì la sequenza descrittiva ricca di pathos: « Tu vedi una cava profonda piena di tenebre all’interno, ed in poca parte illuminata di fuori per la degradazione della luce» (M. Celesia, 1839, pp. 16-17) correlata ad una arguta lettura,della scenografia spaziale: «Le tre figure non occupano che poco spazio in quella volta, ove fanno un bel contrapposto alquante nubi sparse nell’azzurro del cielo; eppure elle sono con tanta maestria condotte nello scorcio, e così bene seppe il Novelli regolare le proporzioni della prospettiva, che si presentano della naturale grandezza» (M. Celesia, 1839, pp. 17-18).

     Presumibilmente il Novelli, seguendo questa volta i «precetti» dell’Armenini, o avendo egli stesso osservato de visu i sottinsù di Giulio Romano, apprese il modo di «sbucar la volta per forza de’ contorni» e far «spiccare fuori con tanto rilievo» i personaggi «che più al vivo si mostrano che al dipinto» (G.B. Armenini, 1586, p. 178). E come Giulio, anche il nostro Pietro, per parafrasare ancora l’Armenini, «diè forma mirabile all’arte [siciliana] e convenienza ragionevole al soggetto»; nel nostro caso al miracolo ricevuto da Daniele (G.B. Armenini, 1586, p. 178). L’angelo del Novelli ripropone, nella mano destra, la medesima gestualità riscontrabile nelle creature angeliche del Guercino (vedi il rame raffigurante San Sebastiano soccorso da due angeli eseguito nel 1617 ovvero la tela raffigurante la Vestizione di S. Guglielmo del 1620). L’artista monrealese tuttavia preferisce riprodurre nella torsione del corpo, la lezione manieristica di Giulio Romano più consona al rispetto delle regole di equilibrio conferite alle ali dell’angelo. E giustamente Di Stefano, il primo studioso del nostro secolo, aveva scritto che «l’opera ci mette a contatto con un artista maturo (...) nuovo» (G. Di Stefano, Pietro..., ed. 1989, p. 17). Un artista che, rielaborando gli stilemi del manierismo emiliano, saprà affrontare con estrema disinvoltura tecnica le nuove regole della spazialità che saranno propagate dalla manualistica tardo-inascimentale in area veneta. Non è tuttavia da trascurare l’esuberante varietà della «concentrazione» stilistica operata dal Novelli in quest’opera della quale, come si dirà, rimane anche la documentazione grafica del disegno preparatorio che permette di rilevare le differenze. Nell’affresco infatti la decisiva impronta manieristica (assente nel disegno) si manifesta nella linea serpentinata (delegata al panneggio) e che scorre con maggiore efficacia lungo l’asse del braccio e della gamba destra di Daniele, nonché del braccio sinistro di Abacuc. Tuttavia il Novelli non rinunzia a riproporre nel genere «campestre» (canestri con frutta) la coeva citazione fiammingo-lombarda. L’ariosità cromatica si evidenzia anche nel disegno preparatorio (mm. 295 x 198) eseguito con «matita rossa, penna e inchiostro nero, acquarellatura grigio- celestina su carta avorio», custodito presso la Galleria Regionale di Palazzo Abatellis e recentemente (1990) restaurato. Nella stesura grafica, come ha ben evidenziato la Grasso, lo spazio risulta «più contratto, con un punto di vista più ravvicinato e angolato dal basso, e l’angelo in volo e ritratto con un maggiore scorcio» (S. Grasso 1995, scheda n. 76, p. 238). L’affresco è racchiuso dentro una cornice multipla di stucco bianco e dorato che mostra una decorazione con motivi a festoni lungo i lati maggiori dell’ellisse; due coppie di angeli musicanti e festanti separati al centro da un cherubino, poggiano all’estremità dell’ellisse su un fondale giallo. La decorazione viene interrotta al centro dei lati maggiori da due tempere monocromate di color seppia raffiguranti rispettivamente «Daniele dinanzi la statua del dio Bel» (Daniele 14, 13-22), e, «il banchetto di Davide e Uria» (Samuele, 11, 13); le tempere poste all’estremità dipinte con il fondo di color verde raffigurano rispettivamente «il banchetto di Baldassare» (Daniele 5, 1-28) e «l’annunzio della nascita di Isacco ad Abramo» (Genesi, 18, 1-5). I quattro dipinti sono stati a nostro avviso aggiunti più tardi all’originale decorazione novelliana, come si evince dall’assenza di norme spaziali e prospettiche. Per l’esecuzione dell’affresco, come recentemente ha evidenziato «l’uso della luce radente» utilizzata dai tecnici del Restauro, il Novelli impiegò tre giornate di lavoro, mentre per trasportare il disegno dal cartone all’intonaco presumibilmente l’artista si servì della «tecnica dell’incisione indiretta», ossia impresse «il disegno sull’intonaco» servendosi di una sorta di stilo fornito di «punta» e ne ripassò i contorni «a pennello» applicando «la terra rossa» nelle campiture centrali e la terra nera «nelle parti decorative» (G. Davì, Relazione..., 1996, pp. 7-8). Sono inoltre venute alla luce, grazie alla monografia della Prescia (Storia..., 1995, p. 126), le vicende correlate alla disastrosa alluvione che investì Palermo e la sua provincia nel gennaio del 1933. In un articolo curato dall’ing. Luigi Epifanio veniva infatti segnalato il danno subito dalle infiltrazioni d’acqua sulle pareti che avevano provocato il crollo del solaio soprastante all’affresco. Il 3 febbraio dello stesso anno (1933) un non ben identificato tecnico della «R. Soprintendenza dell’Arte medievale e Moderna della Sicilia» consegnava al soprintendente Francesco Valenti (?) la relazione del sopralluogo eseguita il 29 gennaio per «constatar[e] i danni provocati dalle intemperie» (Prescia, 1995, p. 126). Il maggiore danno l’aveva subito la cappella del Noviziato «che si eleva sul resto delle fabbriche con un tetto smantellante sotto il quale - dichiarava il tecnico - si rovina l’affresco di Pietro Novelli (...). Accanto al chiostro si trova il Refettorio con l’affresco di Pietro Novelli raffigurante Daniele nella fossa dei leoni. Gli scorci del Novelli sono di una linea perfetta ma anch’essi nelle condizioni attuali della copertura, debbono necessariamente sparire, come gli altri della cappella del Noviziato, già completamente inzuppati d’acqua (...). In conclusione, tale stato di abbandono non può essere ancora protratto senza vedere crollare l’opera fatta da tanti illustri siciliani, che come (...) il Novelli, lasciarono veri capolavori d’arte, degni di essere conservati con cura» (Prescia 1995, pp. 126, 128). I recenti restauri, come si e detto, hanno anche cancellato i segni della «reintegrazione (...) delle mancanze e della completa ridipintura» a tempera eseguita su «tutta la decorazione e della cornice» operazione che aveva sortito «un appiattimento generale delle immagini» poiché con questo drastico intervento erano stati «oscurati i passaggi chiaroscurali ottenuti dal Novelli con l’uso dei mezzitoni» (G. Davi, 1996, p. 8). L’asportazione radicale delle muffe e l’ancoraggio dell’arriccio sull’intonaco e degli stucchi ha preceduto il restauro pittorico dell’affresco eseguito con colori acquerello, nonché la pulitura degli stucchi che ha restituito all’opera del Novelli l’originale vitalità cromatica.

Angela Mazzè

 

Bibliografia: G.B. Armenini, 1586, p. 192; V. Denon, 1788, pp. 97-100; Rezzonico, C. Gastone, conte di, 1828, p. 24; M. Celesia, 1839, p. 15; G. Di Stefano, 1989, p. 187; E. De Castro, 1990, p. 20; S. Grasso, 1995, p. 238; R. Prescia, 1995, pp. 53, 126; E. De Castro, 1996, pp. 4-6; G. Davi, 1996, pp. 7-8; I. Scicolone, 1996, pp. 4-5.

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