L8 ottobre 1633 Serafino Gonzalez,
presumibilmente cadetto della famiglia palermitana «originaria di Spagna», prendeva i
voti e probabilmente dopo un biennio trascorso nel monastero martiniano, veniva trasferito
a Ciminna, dove da priore titolare «consumò i suoi giorni fino al 12 febbraio 1691» (G.
Sta- bile, in Pietro..., 1990, p. 220). Nel 1635 il Gonzalez, prima di lasciare la
sede di San Martino delle Scale, volle forse perpetuare il ricordo della sua professione
religiosa nel dipinto che fu eseguito dal Novelli proprio in quellanno come
testimonia la scritta incisa sul plinto (in basso) ed espressa nella seguente forma
epigrafica: D(ivo) P(atre) Benedicto P(atroe)o D(ominas) Seraphinus Gonzalez / de
Pan(ormo) devotionis caussa / p(erpetua)? anno MDCXXXV. Recentemente Vincenzo Abbate
ha avanzato lipotesi che al nobile aristocratico sia da assegnare esclusivamente il
ruolo di «committente ufficiale dellopera» e di finanziatore della spesa, ben 240
onze, come risulta dalla notizia perpetuata dallo storiografo benedettino Michelangelo
Celesia (V. Abbate, in Pietro..., 1990, p. 200). Lo studioso suffraga la sua tesi
affermando che il Gonzalez era «troppo giovane (...) nel 35 per poterne dettare
soggetti e contenuti, che di sicuro spettarono allabate o ai monaci più colti»
(Abbate, 1990, p. 200). La pala (cm. 520 x 340) arreda la cappella dedicata a San
Benedetto collocata a destra, larga m. 4,85 e profonda m. 6,25 (Tornamira,
Cerimoniale..., 1671, p. 40). Secondo la testimonianza dello storiografo illuminista
A. Mongitore prima di legarsi «co vincoli della solenne professione» eletto abate
«per decreto a 30 gennaio 1709» si rese «infaticabile nel (...) nobilitare la
magnificenza della chiesa» e ornò di marmi e «di due magnifiche colonne la cappella di
S. Benedetto» (Mongitore, Chiese e..., QqE5, c. 57 r). Peraltro, il Mongitore
nella descrizione della cappella aveva evidenziato che essa «ha due colonne grosse di
marmo mischio e una macchina ben composta di vari marmi, simile a quella di S. Martino che
gli sta di rincontro» (Mongitore, QqE5, c. 57 r). Fu abbellita - conclude lerudito
canonico - nel governo dellabate Michelangelo Del Giudice onde sopra il cornicione
si legge «Magno parenti, et magistro 1717 » (Mongitore, QqE5, c. 57 r). Questa
iconografia non poteva certo mancare in età post- tridentina e alle soglie
dellincipiente cultura barocca in Sicilia, nel monastero di San Martino delle Scale.
Perché poi lopera sia stata affidata al Novelli, è facile intuirlo dal momento che
lartista nellesecuzione dellaffresco del refettorio estivo prima e della
tela raffigurante La Madonna con il Bambino ed i Santi Benedetto e Scolastica», poi,
aveva ben espresso la spiritualità gregoriana.
La pala fu destinata ad arredare laltare destro del transetto, su
un percorso obbligato per i monaci che si recavano al coro. Il Novelli in questa tela
raggiunge il livello più alto nella felice coniugazione di pittore e narratore della
storia dellOrdine benedettino. Liconografia della distribuzione della
Regola e infatti correlata a «litinerario spirituale del ritorno a Dio per
mezzo dellobbedienza sotto la guida di Cristo, al cui amore non si deve anteporre
nulla» (S. Zincone, Dizionario..., 1983, p. 520). Ma rappresenta anche la
sollecitazione allascolto e alla militanza cristiana che in questo dipinto vengono
sinteticamente espressi mediante la gestualità che contraddistingue ciascun protagonista.
Attorno alla figura di San Benedetto (postulante e militante) stagliata al centro della
scena e nellatto di presentare allEterno lincipit della Regola
(Ausculta fili praecepta magistri et inclina aurem) si sventagliano a destra il gruppo
dei religiosi e a sinistra quello dei cavalieri. Un professo (?), fa da reggilibro;
potrebbe trattarsi del Gonzalez come indurrebbe a ipotizzare la gestualità di San Roberto
(istitutore dei Cistercensi), che lo addita al suo interlocutore, San Brunone, fondatore
dei Certosini. Lultimo monaco, dipinto di scorcio e rivolto verso
losservatorio, e San Bernone, padre dei Cluniacensi. Sullo sfondo, ancora a destra,
cesellate nella penombra, sfilano le sagome di Papa Celestino V (Pietro da Morrone), di
San Gualberto fondatore del monastero di Vallombrosa e dellorante San Romualdo
istitutore di Camaldoli. Sulla sinistra del dipinto sono collocate in simbolica difesa del
Tempio le granitiche figure dei cavalieri i quali, ostentando fierezza e sottomissione,
suggellano limpegno «a militare per il vero re Cristo Signore» con le
«validissime e lucenti armi dellobbedienza» (Regola, 3, 4). Inginocchiato ai piedi
di San Benedetto e Sancho III di Castiglia fondatore e Gran Maestro dellOrdine di
Calatrava; alle sue spalle vigilano Gomez Fernandez e Alfonso I di Portogallo
rappresentanti degli Ordini rispettivamente, di Alcantara e di San Michele. Di incerta
identificazione sono gli altri tre cavalieri: Vincenzo Abbate (1990) esternando qualche
perplessità, propone tuttavia di riconoscere in essi i rappresentanti degli Ordini di
Montesa, di Avis e di Cristo. Potrebbe presumibilmente trattarsi della cerimonia che
secondo la tradizione perpetuata da «Chrisostomo Henriquez nel suo Martirologio
Cistercense (...) ne monasteri delle Spagne alli 26 del mese di novembre si
celebra la festività, e la santa memoria di molti (sic) migliaia di cavalieri
benedettini delle sacre militi e di Alcantara, di Calatrava, de Avis, di Monteria e di
Christo, che difendendo il Santo Vangelo contro de Saraceni valorosamente per
Christo sparsero il proprio sangue» (Tornamira, Historia..., 1673, p. 53).
Peraltro, ribadisce il Tornamira, «in una bolla di Gregorio decimoterzo si legge che
in abitu militari quandam religiosarum imaginem referant». Il Novelli «associa in
gruppi di tre i dodici rappresentanti dei due Ordini (religioso e laico) quasi a voler
evidenziare con questo numero la simbologia della Trinità: la felice coniugazione tra i
numeri uno e due, ossia tra il cielo e la terra. Tre sono poi, le virtù teologali (fede,
speranza e carità); tre sono altresì i titoli della tiara papale che simboleggiano gli
attributi della Trinità: la potenza del Padre, la saggezza del Figlio, lAmore dello
Spirito Santo» (A. Mazze in G. Di Stefano, Pietro..., 1989, p. 210). Questa
«sapiente disposizione delle figure in ritmo ternario», come aveva notato G. Di Stefano
(1989, p. 15) non viene effettuata a caso dal Novelli; Fa parte di una prassi correlata al
rituale dei voti solenni, come fa fede la dotta testimonianza di Pietro Antonio Tornamira
e Gotho storiografo cassinese e decano del «Sacro gregoriano monastero di San Martino
delle Scale di Palermo» nonché autore della Historia monastica. Scrive in
proposito il Nostro: «Non si contentò il P. S. Benedetto, che da suoi monaci si
facesse la cotidiana rinnovatione de voti solenni, ma ordinò ancora, che da loro
ben tre volte si rinnovasse ogni volta, choccorresse nel monastero di ricevere alla
solenne processione i Novitii, dicendo: Incipiat mox novitius hunc versum suscipe me
Domine secundum eloquium tuum, et vinam, et non confundas me ab expectatione mea. E
siegue ordinando che tutti li monaci presenti replichino ancora tre volte il medesimo
versetto, e che nel fine vaggiungano il Gloria Patri in honore,
e riverenza della Santissima Trinità, alla presenza della quale fanno
di loro medesimi nuova offerta, pregando il Signore che li riceva nel numero dei suoi
servi. Quem versum omnis Congregatio tertio respondeat, adiunges Gloria Patri»
(Tornamira, 1673, p. 53). Il conte di Rezzonico in visita a San Martino il 26 agosto 1793
ne effettua unosservazione attenta e precisa; quando lintenditore darte
si reca in chiesa «ammir[a] una (...) solenne pittura del Morrealese» collocata
«allaltare sulla dritta» (Rezzonico, Viaggio..., 1828, pp. 25-26).
Lapidario e positivo e il giudizio che egli riserva alla ritrattistica novelliana: «le
teste dei monaci e dei cavalieri sono vivissime e parlanti, cosicché Tiziano istesso non
le poteva far meglio»; anche limpianto scenografico e la distribuzione dei registri
compositivi sapientemente disegnati secondo lo schema modulare della maestosità
rinascimentale ricevono il meritato elogio dellaustero conoscitore del classicismo:
«la composizione grandiosa per un vasto fondo darchitettura, augusta per venerande
facce de vecchi, e di uomini maturi, maestrevole pei gruppi ben distribuiti, solenne
per una gloria colla Triade, e molti putti in aria, non lascia a desiderare eziandio nelle
particolarità, e negli accessori» (Rezzonico, 1828, pp. 25-26). Lattenzione del
Rezzonico si polarizza anche sulla simmetria compositiva del registro inferiore: «le
belle pieghe degli abiti ben opposte lune allaltre arricchiscono di molto la
composizione» e riconosce al Novelli, portavoce del classicismo barocco, una
«inaspettata» eleganza formale che riscontra nella stesura del registro superiore: «e
solo notai nella gamba del Salvator sulle nuvole poca corruzione di forme». Tuttavia non
esita a deplorare quella che a suo parere costituisce una sorta di imperizia nella
distribuzione dei timbri cromatici: «poca intelligenza nellazzurro delle vesti del
P. Eterno, e del globo terracqueo, che pel colore non ben modulato confondesi col suo
manto» (Rezzonico, 1828, pp. 25-26). Il Di Stefano (ed. 1989, p.
15) definisce accademica lopera; lo stesso giudizio esprime
Abbate il quale peraltro conferma che «il dipinto rimane tra i più accademici rispetto
ad altre opere più toccanti e spontanee del Morrealese» (Abbate, 1990, p. 220).
Presumibilmente lelaborata costruzione cartesiana dellimpianto scenico basato
sulla verticalità delle colonne, della lancia e della bacchetta e sulla orizzontalità
creata dallallineamento delle teste e delle mani, dalla stratificazione delle
predelle, dalla geometria del pavimento raffredda il consueto lirismo novelliano, ma
conferisce indubbiamente allopera una sua classica solennità. Dichiara infatti il
Novelli, in questa pala, la sua predilezione per la tradizione classica alla maniera del
Guercino come si evince dalle epigrafi incise rispettivamente sul plinto e sulla pagina
della Regola. E tuttavia limpianto luminoso che conferisce solennità
al dipinto. Ricalcando ancora gli stilemi guercinesci, lartista veicola il bagliore
sul saio del benedettino bianco e sui mantelli dei cavalieri. Sotto lazione
lievitante della luminosità, la consistenza materica del panneggio acquista volume e
sofficità. Alla policromia chiaro- scurale visibile nel fondo della zona inferiore, di
chiara evocazione vandyckiana composta da putti e cherubini, si contrappone la lezione
riberesca ridisegnata nella corpulenta anatomia del Cristo.
Angela Mazzè
Bibliografia: Mongitore, QqE5 c. 57 r; Tornamira, 167), p. 53;
Tornamira, 1761, p. 40; Rezzonico, 1828, pp..25-26; Zincone, 1983, p. 520; Di Stefano, ed.
1989, pp. 15-210; Abbate, 1990, p. 220; Stabile, 1990, p. 220.