Ignoto, inizio sec. XVII

Adorazione dei Magi, inizio sec. XVII
Olio su tela, cm 286 x 310 ca.
Ubicazione: Sacrestia

 

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     Come si evince scorrendo il catalogo del Meli (Catalogo..., 1870) e si constata attraverso la valutazione dell’attuale quadreria, i padri benedettini dell’Abbazia di San Martino delle Scale erano soliti commissionare repliche di opere famose per arricchire il complesso monastico e la chiesa, manifestando la tendenza, comune agli ordini religiosi importanti, di uniformarsi al programma decorativo dei prototipi illustri continentali. Il dipinto in oggetto, esposto attualmente in sacrestia,. si qualifica come copia assai fedele dell’Adorazione dei Magi, eseguita da Marco Pino per la chiesa dei SS. Severino e Sossio a Napoli, firmata e datata 1571. Com’è noto i dipinti eseguiti dal pittore senese in area meridionale tra il 1557 e il 1582 furono oggetto di interesse ed emulazione ancora per diversi decenni dopo la sua morte. Oltre all’attività della bottega, condotta sulla base dei cartoni del maestro, va considerata la produzione di figure di tutto rilievo come il Santafede, il Forlì, l’Imparato e il Graziani, i quali non si sottrassero all’esecuzione di copie o derivazioni più o meno fedeli dagli autorevoli testi marcopiniani, certo incoraggiati da una committenza - non solo provinciale - presso la quale la brillante fusione tra maniera e pietismo operata dall’ultimo Marco Pino raccoglieva non pochi consensi. Insomma nella pittura meridionale degli ultimi decenni del ’500 «...e proprio l’aspetto di modello compositivo, iconografico, a restare di gran lunga quello più vitale all’interno della lezione piniana e negli anni successivi alla morte del pittore, sostenuto sia dalla fama ormai acquisita da alcune grandi pale... sia anche dalla produzione e dalla circolazione di stampe tratte da alcuni di questi prototipi» (P.L. Leone De Castris, Pittura del..., 1991, p. 26). Il dipinto di San Martino delle Scale si inserisce nella fase tarda di questo fenomeno, consolidando la fortuna riscossa dall’originale per la complessa costruzione sviluppata «in profondità, su tre diagonali successive» (V. Abbate, in In Epiphania..., 1992, p. 76). Esente dal nervoso grafismo e dalle sottili trasparenze della versione autografa ne ripropone i singoli elementi e la struttura compositiva nel suo insieme, frenando lo slancio dinamico dei personaggi in forme dal saldo plasticismo. Una nuova concezione luministica e alla base delle diversità che si registrano rispetto al dipinto dei SS. Severino e Sossio: la luce fredda e artificiale, direzionata in modo preciso, investe le figure in primo piano sovrapponendosi a quella naturale del lontano paesaggio. L’addentrarsi delle ombre sullo sfondo modifica il rapporto tra i diversi piani spaziali. Quest’impianto luministico fortemente contrastato presuppone evidentemente da parte dell’ignoto autore, la conoscenza diretta del linguaggio caravaggesco, sebbene qui proposto sotto forma di epidermico travestimento che consente di aggiornare alle ultime tendenze pittoriche un testo noto del recente passato. Nello specifico si registrano nell’Adorazione dei Magi di San Martino delle Scale, esiti affini alla produzione di Giovan Bernardino Azzolino che, attingendo al realismo riformato di Fabrizio Santafede, approda nel primo decennio del Seicento ad una pittura devozionale moderatamente naturalistica, cui il sapiente luminismo di matrice caravaggesca garantisce una formula di sicuro successo. L’assegnazione all’ambito napoletano appare plausibile qualora si consideri l’attenzione e lo spirito di emulazione manifestati in più riprese dai monaci palermitani per l’arredo scultoreo ligneo della chiesa napoletana: come è stato evidenziato dal Fittipaldi (1978), il coro della chiesa di San Martino, eseguito tra il 1591 e il 1597 dai napoletani Nunzio Ferraro e Giovanni Battista Vigliante, e una replica felice di quello dei SS. Severino e Sossio, ultimato nel 1573 da Benvenuto Tortelli, artista la cui sensibilità risulta affine a quella di Marco Pino e a lui vicino. Ancora ai due maestri i Padri benedettini commissionarono gli armadi e la porta della Cappellina delle reliquie nella sacrestia della chiesa, simili a quella della chiesa napoletana e ascrivibili al primo decennio del XVII secolo. Non è esclusa dunque una continuità di rapporti in tal senso con l’ambiente napoletano, all’interno della quale troverebbe le proprie coordinate cronologiche e geografiche il nostro dipinto.

Stefania Lanuzza

Bibliografia: V. Abbate, 1992, p. 76, fig. 4.

 

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