Il Refettorio

Una porta sita nel lato est del chiostro introduce in un’ampia sala, circondata da un rinnovato schienale in legno: è il refettorio monastico, luogo che non è accessibile al visitatore perché compreso nel circuito della clausura, ossia degli ambienti riservati alla comunità monastica. In esso i monaci consumano i pasti insieme e in silenzio, ascoltando da un bel pulpito in marmi mischi posto sulla parete occidentale del refettorio, la lettura secondo il dettato della Regola benedettina.

Attraverso queste pagine, però, e soprattutto le immagini che le corredano, possiamo ammirare due opere d’arte che in esso vi si conservano. La prima è un affresco di Pietro Novelli del 1629, dipinto sulla volta e raffigurante Daniele nella fossa dei leoni. La scena biblica è piuttosto nota: il giovane Daniele si trovava ingiustamente condannato a giacere nella fossa dei leoni, ma questi ultimi non lo avevano neppure sfiorato. In un’altra regione il profeta Abacuc riceve dal Signore l’invito a prendersi cura del povero Daniele e a portargli del cibo. Ecco allora la raffigurazione dell’angelo che prende per i capelli il vecchio profeta con le due ceste di pietanze per il giovane condannato.

Interessante vedere il languore della fame dipinto sui volti dei due leoni, così pure la maestria del movimento angelico e la varietà dei colori. Il tema, poi, del cibo è particolarmente familiare all’iconografia presente di solito nei refettori, quasi a porre l’accento sull’importanza della Provvidenza divina nella vita quotidiana dei monaci: a chi confida in Dio non manca mai il necessario.

Un altro dipinto, invece, lo troviamo sulla parete di fondo del refettorio, proprio sul posto centrale riservato all’Abate. Esso raffigura La cena in casa di Levi opera recentemente attribuita ai pittori Mariano Smiriglio e Filippo De Mercurio, realizzata nel 1605. Il quadro è di dimensioni considerevoli, e con la sua cornice scura, occupa l’intera parete. La raffigurazione del Cristo seduto a tavola in casa del pubblicano Levi, più noto col nome di Matteo, rimanda per grosse linee al dipinto del Veronese, al quale per altro si ispira seppur attraverso una stampa (così attesta l’atto notarile relativo alla commissione del quadro) probabilmente dell’incisore olandese Jan Saenredam.

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