Un’antica tradizione vuole l’abbazia di San Martino fondata da papa Gregorio Magno († 604). In verità san Gregorio avrebbe fondato ben 6 monasteri in Sicilia su altrettanti territori di proprietà della famiglia materna.
Di molti di questi monasteri ne parla lo stesso pontefice nelle sue lettere, e in ben due fa riferimento ad un monastero che porta il nome di San Martino e che sicuramente si trovava nel territorio immediatamente vicino alla città di Palermo. L’inesistenza di fonti attendibili ha fatto dubitare molti studiosi sulla fondazione “gregoriana” dell’abbazia di San Martino delle Scale, la quale sarebbe stata in seguito distrutta dai Saraceni nel IX secolo.
Al contrario, esistono moltissimi documenti che legano l’abbazia alla prima metà del XIV secolo, a partire dall’anno 1347. Di quell’anno, infatti, si conserva ancora l’atto di fondazione, redatto dalla cancelleria dell’arcivescovo di Monreale Don Emanuele Spinola.
Nel documento vengono fatti i nomi di sei monaci benedettini del monastero di San Nicola, sito alle falde dell’Etna, i quali furono cooptati dall’arcivescovo per dar vita ad un monastero nel feudo già allora detto di San Martino, di pertinenza del vescovado monrealese.
Tra questi monaci spicca il nome del fondatore, il beato Angelo Sinisio, un uomo dalle spiccate qualità spirituali e organizzative che, in breve tempo, costruì il primo monastero, accolse altri uomini desiderosi di condividere con lui l’ideale monastico e impiantò nello stesso cenobio quelle attività tipiche dei monasteri benedettini, tra cui la coltivazione dei campi e delle erbe semplici per la cura delle malattie e uno scriptorium per la riproduzione dei codici.
In questo periodo si forma anche il patrimonio dell’abbazia, consistente anzitutto in case e terreni: basti pensare alle tante donazioni ricevute dal Sinisio, come i feudi di Cinisi, Borgetto, Sagana e Milocca (attuale Milena) in cui l’abate di San Martino delle Scale esercitava anche la potestà baronale. Tutto questo contribuiva all’ingrandimento sia della fabbrica che della comunità monastica.
Angelo Sinisio fu il primo abate di San Martino, eletto il 26 luglio 1352, l’abate Angelo morì il 27 novembre del 1386, e il suo ricordo rimase sempre vivo sia tra i monaci che tra i fedeli dei vicini centri di Palermo e Monreale, soprattutto per le tante opere di beneficenza che lo stesso abate e i suoi monaci avevano impiantato. Il suo corpo riposa sotto l’altare della Sacrestia, e da tempo immemorabile gli viene attribuito (pur senza una regolare proclamazione canonica) il titolo di beato.
Nei secoli successivi l’abbazia di San Martino si trovò a condurre un ruolo di notevole importanza nel territorio circostante. I suoi influssi sono ricordati dagli storiografi sia in campo civile che ecclesiastico. Non può essere taciuto il nome di Giuliano Mayali († 1470), il monaco che fu anche ambasciatore del Re Alfonso presso il Bey di Tunisi e che guadagnò al tesoro dell’abbazia il ricco manto regale del sovrano mussulmano, oltre le preziose reliquie della Santa Croce e della Sacra Spina, oggi conservate in altrettanti reliquiari, entrambi opera dell’argentiere Pietro di Spagna, realizzati nella seconda metà del XV secolo.
A partire dalla fine del Cinquecento vennero rielaborate le antiche strutture architettoniche, coincidendo in quel periodo l’ingresso del cenobio nella congregazione cassinese, una unione di monasteri benedettini che aveva come primo intento quello di favorire la collaborazione tra le abbazie presenti nella penisola italiana, permettendo cosi una rifioritura dell’osservanza monastica per certi versi decaduta, soprattutto a causa delle ingerenze di nobili laici o ecclesiastici che dall’esterno miravano a privare delle cospicue rendite i singoli monasteri.
La vita culturale dell’abbazia durante questi secoli si presenta vivace e originale: produzioni e committenze artistiche, attività editoriali, insegnamento. Il centro propulsore degli studi è indubbiamente la biblioteca che, in strutture rinnovate e ingrandite durante il XVIII secolo, diventa un polmone inesauribile che attira studiosi e ricercatori da ogni parte. Inoltre, il gusto per l’arte e per il collezionismo rendono possibile l’allestimento di un museo, composto da opere artistiche dall’età ellenistico-romana al medioevo, e di una quadreria. A questo periodo sono legati alcuni nomi di monaci noti nell’ambiente culturale dell’epoca: Don Pierantonio Tornamira, Don Stefano D’Amico, i fratelli Don Salvatore Maria e Don Giovanni Evangelista Di Blasi, Don Michele del Giudice e altri.
Venne anche ingrandito il complesso architettonico, la cui progettazione fu affidata all’architetto Venanzio Marvuglia che nel 1775 realizzò il nuovo dormitorio. La facciata di questa nuova struttura è lunga circa 137 metri, si innalza su tre ordini ed è rivolta verso Palermo, a significare l’ideale collegamento che intercorreva tra il monastero e la città dalla quale provenivano la gran parte dei monaci di San Martino.
Il secolo XIX rappresenta per l’abbazia di San Martino l’inizio di una crisi interna che, necessariamente, ridurrà il suo ruolo spirituale per la comunità ecclesiale circostante, e porrà fine a tutte le iniziative culturali. La stessa confisca dei beni del 1866 e soprattutto la susseguente spoliazione del patrimonio storico-artistico giungono trovando la comunità monastica decimata e indebolita. Il servizio abbaziale era svolto in quegli anni da Don Luigi Castelli († 1888).
Non mancarono, comunque, in questo secolo personaggi di spicco, come il beato Giuseppe Benedetto Dusmet, monaco di San Martino e in seguito abate di San Nicola di Catania, poi arcivescovo della stessa città e cardinale, morto il 4 aprile del 1894 e proclamato beato da Giovanni Paolo II nel 1988, così pure l’arcivescovo di Palermo il cardinale Michelangelo Celesia, già prolesso di questo cenobio.
La lenta ripresa avviene grazie all’opera del benedettino Don Ercole Tedeschi († 1919) il quale svolse il suo impegno monastico e pastorale (assunse anche la guida della parrocchia annessa in quegli anni al monastero) nonostante le difficoltà del periodo. Alla sua morte lasciò un piccolo gruppo di monaci, eredi della spiritualità benedettina tramandata dal loro maestro, ai quali la storia affiderà il compito di continuare a San Martino la vita monastica; tra questi ricordiamo Don Giovanni Messina († 1948). Si succederanno alcune date significative: nel 1932, nello spirito del concordato tra lo Stato italiano e la Santa Sede (i cosiddetti Patti Lateranensi dell’I 1 febbraio 1929), la comunità monastica otterrà il riconoscimento come “ente morale”; nel 1946, raggiunto il numero di monaci previsto dalle Costituzioni cassinesi, sarà nominato primo priore conventuale Don Guglielmo Piacenti († 1977); nel 1969 l’elezione del primo abate dopo circa un secolo di vacanza della sede, nella persona di Don Angelo Mifsud (1969 – 1976), a cui succederanno Don Benedetto Chianetta (1977 – 1995), Don Ildebrando Scicolone (1995 – 2000) e Don Salvatore Leonarda (dal 14 novembre 2000).
La ripresa della vita monastica durante tutto il Novecento segna anche il ripristino di alcune attività proprie della comunità monastica, la quale prenderà sede in una parte dell’antico complesso monumentale: l’insegnamento nel collegio e nell’alunnato monastico, l’allestimento di un laboratorio di restauro del libro, l’apertura al pubblico della ricostituita biblioteca e la rivendita di alcuni prodotti tipici del monastero.